Il Capo Popolo
Una sorta di prologo
Non dovremmo prima almeno controllare?
Controllare cosa?
Dico, per essere sicuri che dietro alle esplosioni ci siano davvero…
Sh!
Ma…
Sh! Potrebbero sentirti. Certo che ci sono loro, che controllare e controllare…
Certo, certo. Dicevo solo per essere… comunque. Ecco che arriva il Capo, avrà sicuramente delle notizie.
La figura del Capo Popolo, alta e grassoccia, entra come un’ombra nella stanza. Un’ombra dal profumo inconfondibile di arrosto e con il solito, immancabile, sorriso ebete tatuato sotto il naso.
Buongiorno a tutti!
Saluta e si accinge a stringere mani, dare pacche sulle spalle e ignorare la tensione che non solo striscia, ma riempie la sala come un liquido vischioso.
Un Capo sorridente
Non fatevi ingannare dall’umore sempre gioviale e dalla sua straordinaria capacità di ricordarsi i nomi di tutti. È una strategia di marketing come un’altra. Quel sorriso può essere l’ultimo che vedrete mentre soffocate annegando in un enorme secchio di cemento. Al principio non si può dire fosse malvagio, anzi, era un ragazzo cicciotto dall’aria simpatica. Fu tra una stretta di mano e l’altra, poi, che assaporò appieno l’ebbrezza del potere.
Un Capo allegro
Le punizioni contro gli avversari inizialmente lo avevano sconvolto, per poi essere pian piano sempre più attraenti. Ora batteva le mani allegro, quasi isterico, vedendo gli occhi rossi di paura delle sue vittime. Conigli innocenti che vedevano quel sorriso ebete sparire in spasimi di dolore. Oh, certo, con le sue mani non aveva fisicamente mai ucciso nessuno, intendiamoci. Le mani erano morbide e lisce, come quelle di chi non ha mai mosso un dito per preparare nemmeno un’insalata.
Per quanto il suo motto fosse:
Dalla parte di chi lavora, dalla parte della giustizia.
Eppure con quelle stesse mani mollicce aveva cambiato il sistema. Tortura, poi pena di morte erano tornate protagoniste del vocabolario popolare. Poi, il grande colpo di teatro. I carcerati, costo fisso non più giustificabile da un’amministrazione così attenta alla giustizia, erano dati in pasto ai propri compagni di prigione. Perché buttare via della carne ancora così tenera? No, i carcerati non meritavano nulla di più che mangiarsi tra loro.
I crimini, però, continuavano a salire come numero. Non si intravedeva all’orizzonte una soluzione e fu dunque deciso di riunire l’intera popolazione sotto un grande ombrello. L’ombrello della paura.
Inizialmente si trattò di casi fortuiti, come il caso del taxi. Spaventò tanto la popolazione, che venne provata una replica. Una piccola esplosione in aperta campagna, che spaventò solamente qualche mucca solitaria. L’avvenimento venne riportato sulle pagine di tutti i giornali:
E se fosse stato un terrorista?
E se ci fossero state donne e bambini?
Ecco la visualizzazione grafica dell’esplosione se fosse stata in centro e avesse ucciso cento persone
Tutte le grafiche riportavano amputati, donne incinte dal ventre esploso e alieni intenti a mangiarne le interiora.
Così la paura divenne tanto più reale, quanto le immagini di distruzioni immaginarie che intasavano ogni canale.
Amici.
Continua dunque il Capo Popolo mostrando allegro i denti giallognoli.
Siamo di fronte ad una delle più grosse crisi che la nostra stupenda nazione e il nostro Governo dell’Agire abbiano mai dovuto fronteggiare. Abbiamo trovato tutti i punti di atterraggio.
I punti di atterraggio! Come se cadere da trenta metri e spiaccicarsi al suolo sia da considerarsi un atterraggio. Una caduta, al massimo, una caduta mortale. Il capo continua:
Abbiamo messo in carcere i fuorilegge che li stavano aiutando. Finiranno tutti in galera, costretti a mangiarsi tra loro come è giusto che sia per dei nemici della patria.
Gli occhi, incavati nelle guance grassocce, si muovono frenetici da un astante all’altro. Gioiosi, vivaci, come se tutto questo alla fin fine fosse solamente un gioco. E lui solo conoscesse le regole.
E per quanto riguarda le esplosioni?
Una voce timida sale dal gruppo di segretari.
Le faremo cessare.
La voce, un pochino più sicura di sé stavolta, azzarda una seconda domanda.
E come pensa di poterle far cessare?
Come abbiamo sempre fatto, come si fa in una democrazia che funzioni. Troveremo il responsabile e lo faremo squartare e mangiare vivo. Dovrebbe bastare a fermare possibili emuli.
Oh, capo! Lei ha sempre delle idee così… originali!
Bene, per oggi è tutto. Domani ci sarà la votazione sulle due mozioni di maggioranza e opposizione. Io non potrò esserci, purtroppo. Come ben sapete domani c’è la festa dell’Indipendenza e festeggerò con la mia famiglia.
La festa dell’Indipendenza
Se l’avessero chiamata festa dell’isolamento sarebbe sembrata almeno più rispondente al vero. La festa stava comunque là ogni anno a ricordare quel giorno di qualche anno prima, in cui l’ultimo muro, quello a Nord, fu costruito. Prima ci fu la costruzione del muro a Sud contro l’invasione dei “poveri e terroristi”, poi fu eretto quello a Est contro “i comunisti e pedofili”, poi a distanza di tempo quello a Ovest, senza una ragione particolare. Infine, il muro a Nord, contro le “Grandi Potenze che ci invadono e ci comandano”.
Il Capo Popolo lascia dunque la sala con il suo solito sorriso, pensando solamente alla sua ragione di vita.
La sua nipotina, Vittoria.
Non hai ben capito di cosa si tratta? Leggi qui le prime due parti.
Questa storia è un racconto originale scritto da Daniele Frau, cui sono riservati i diritti di riproduzione. I disegni sono ad opera di Gabriele Manca (DMQ productions) e tutti i diritti correlati sono di sua proprietà.
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