Corri!
— Leggi la puntata precedente–
La fine
Morire è così semplice che nessuno desidera essere il prossimo nella lista. O troppo complicato, forse? È probabile sia solamente la paura di scoprire troppo presto di essere soli, senza alcun appiglio nel mondo.
La disperazione
A volte non si può nemmeno tentare di appigliarcisi da vivi, a questo timore. Sepolti, non-morti in una realtà nauseante e pronti ad inforcare il mono-ciclo delle bugie per fingere di capirci qualcosa. Allegri onestamente più per disperazione si lascia indietro chi, fermo ai margini del nostro immaginario mondo perfetto, ha fatto della disperazione uno stile di vita.
Felicità
Brillante carriera negli studi e lavoro fisso, con un uomo su cui riversare quelle passioni turbolente che spesso vengono scambiate per amore, M. non era certo disperata. Senza dover usare sinonimi, M. fino alla mattina di maggio dell’unico anno in cui nell’isola decise di piovere tutti i giorni del mese, era felice. Una felicità non da film o cartone animato, più la felicità descritta dalla lentezza ed eleganza di un libro.
Amore
Un’allegria spensierata, personale, che vi è impossibile immaginare solo perché M. per voi è solo un nome. Come lo è del resto quasi tutto ciò che vi scintilla intorno e si dissolve tra ombre e luce. Questo nome era innamorato di un tizio dai capelli sempre bagnati di un gel vischioso e dall’odore pungente di pino selvatico.
Il riccioluto
Mai stato amico del pettine, il riccioluto aveva intenzione di usare questa sua peculiarità per entrare nelle grazie di quante più persone del genere femminile gli fosse possibile. Chiaramente queste fantasie di conquista erano ignote alla felice M., tutta presa dagli origami, dal suo studio all’Ospedale Vecchio e un irrefrenabile gusto per l’opera lirica. Quest’ultima passione la vedeva commuoversi davanti ad un farfallone amoroso che viene mandato in guerra, piuttosto che di fronte ad un gobbo e alla sua maledizione.
L’opera
È durante una di queste rassegne di pianto silenzioso, quella in cui un clown si guarda allo specchio per la prima volta, che entra in gioco il caso. O meglio, una serie di casi si incastrano gli uni negli altri fino a formare una catena, un piccolo fiume che inizia a scorrere. Come la pioggia ininterrotta, che da giorni ormai martellava l’isola fuori dalle grandi porte in legno del teatro. Ciò che deve accadere accade, si dice.
Il fato
E con uno schianto ecco cadere a terra rosso in volto il cantante. Le lacrime erano ancora visibili sulle guance del Maestro, quando il dottore corse sul palco, seguito da un venditore di anime. La gente si muoveva su e giù dalle poltroncine, inquieta, piccole api sorprese dal fumo accecante degli avvenimenti. M. invece non si muoveva per nulla. Mai, mai prima d’ora aveva lasciato un’opera a metà. Seduta, aspettava invano
Ridi pagliaccio
Che però per lei era destinato fatalmente a non arrivare. Lentamente, una sensazione di angoscia iniziava a farsi largo nel petto. Come uno spiffero di aria gelido tra le pareti tiepide dei polmoni, una sensazione strana che alcuni conoscono come crisi d’ansia o d’anima. Doveva uscire da quell’immensa orrenda messinscena. La pioggia fuori batteva ancora forte, ma l’aria era più fresca, respirabile. Neanche l’ombra di api- persone e di quel fumo che le aveva ottenebrato la vista.
Solo qualche passo in più
Per fortuna il teatro era a pochi passi dal suo appartamento, dietro la via con i tre palazzi, in un quarto piano dalle tendine colorate. Doveva aspettarla una stufa a gas per asciugarsi, un libro e chissà, perfino qualche coccola.
Girata la maniglia, invece della stufa, trova due corpi avvinghiati e sudati, tutti tesi a riscaldare l’appartamento con il loro calore umano. Lui era il già citato riccioluto, mentre lei una studentessa dai denti sporgenti.
C’è chi non si è mai ripreso dall’adolescenza, chi non ha mai imparato ad elaborare il lutto e poi c’è M. Per lei e quelle come lei, sarà difficile guardare negli occhi un uomo senza pensare a quell’assurda fregatura che un tempo chiamava amore.
E se Arlecchin t’invola Colombina,
ridi, Pagliaccio,
e ognun ti applaudirà
Un senso?
Non si contano da allora i minuti, le ore o i giorni spesi a cercare un senso, senza fortuna. Forse perché contare i minuti non è poi così sensato, quando c’è un orologio che è nato proprio per questo. La mistificazione della perfezione, la decisa convinzione di essere finalmente dalla parte giusta del muro, crolla come in un secondo 1989. O, più semplicemente, come un castello di carte. Si apre una finestra e l’intera impalcatura collassa.
Quasi un anno dopo, sul tavolo della dottoressa M., ora medico legale di un piccolo paesello in provincia del nulla, viene collocato il corpo di un dottore con la carotide recisa.
Ed era come sempre, come da giorni ormai, immobile
Sveglia!
Nulla, dal comodino non so dire se stia dormendo, piangendo o pregando in silenzio
Sveglia!
So solo che l’anima nascosta nel mignolo reciso prova a scuotere il torpore
Ed era come mai prima, scossa, persa tra pensieri non suoi
Sento un fruscio, ecco le coperte si spostano, facendo spazio alla sua sagoma. Con un fruscio le lenzuola cadono a terra e due mani mi stringono, riflettendo sul quadrante una faccia incredula. Ebbene si, sono ancora il contatore del tempo, l’enumeratore dello scorrere lento del reale.
Il viso diventa sbiadito mentre il suo alito caldo mi fa perdere lucidità. Le mani, proprio le mani tremano e mandano la sua figura ancora fuori fuoco. Non sono certo occhi i miei che la osservano, ma sono comunque qui come un frammento di realtà. A volte da buon orologio da polso vorrei sapere se esisto davvero, se sono davvero in qualche luogo adesso e se le storie che racconto abbiano per chiunque un minimo senso. E se mai il tempo stesso ne abbia uno.
Ben svegliata, dobbiamo parlare
Ecco la voce provenire ancora dal piccolo panno colorato di sangue sulla sponda del letto. Due mani di donna tremanti l’hanno lasciato cadere. Le stesse che ora mi tengono stretto, come un antico legame con una realtà scomparsa. L’ultimo secondo dell’ora notturna passa inesorabile, lento ed elegante.
Tac
E dunque non mi parlerai?
Gli occhi rossi sembrano guardare lontano. Quella voce, quel panno macchiato sul letto non sembrano essere reali.
Poi
Chi sei?
Bene, sei viva!
Esclama il panno intriso di sangue del dottore dalla sponda. Per poi continuare, poetico
Sono un’anima rubata, regalata, rubata ancora. Sono il malsano tributo riservato dagli uomini a chi non considerano esseri degni di scelta. Il mio destino era chiaro, coerente. Ora mi ritrovo a pezzi, insanguinato, ai piedi del letto di una donna che crede d’essere impazzita
Tic
Perché hai scelto me?
Tac
Ecco finalmente una domanda cui saprò rispondere. Nella stanza c’eri solo tu quando mi sono svegliata
Tic
— La prossima settimana… Il Ragazzo, ancora —
La storia avrà pubblicazione a cadenza settimanale. Tutti i diritti sulla storia sono riservati da a Flyingstories.org e nella persona di Daniele Frau.
Tutte le grafiche sono eseguite a mano e in stili misti dall’artista Gabriele Manca, DMQ productions, che detiene i diritti sulle opere.