Il Muro
Il muro è la colonna portante della Animae
<<Tic, toc, tac, toc.>>
Due paia di scarpe si inseguono producendo il medesimo ritmo, un suono che rimbalza alla base del muro. C’è un paio da donna dal tacco decisamente alto, scuro, che sfila lasciando per qualche decimo di secondo un alone d’ombra blu sul pavimento bianco.
I Quartieri Generali non hanno un profumo, così ci ha pensato lei a portarne un po’ da casa. Un profumo intenso, come di spezie, cannella e pera. O magari muschio, vai a saperlo. Se solo avessi un naso.
<<Puc, pac, puc, pac.>>
Passi più quadrati, i miei stessi passi. Larghe falcate sicure, che scivolano un po’ sulla cera del pavimento. I Quartieri Generali hanno una grossa statua di un leone proprio al centro, sotto le scale mobili.
Mentre un paio di scarpe è uscito dall’ascensore, l’altro arriva dalle scale mobili. I due lati estremi del leone. Uno vede il viso feroce, l’altra le gambe possenti pronte a saltare sulla preda.
Da qualsiasi prospettiva lo si guardi, non si notano la lupa e la lonza accucciati sulla schiena. Insomma, un ambiente teatrale, cui questi passi fanno da orchestra.
<<Tic-Puc, Toc- Pac, Tic- Pic, Toc- Puc.>>
I passi si mischiano, coinvolti nella stessa danza teatrale dell’incontro. Interminabile, lunga quanto il muro che contiene i Santi. I volti di coloro che hanno fatto la storia, che hanno scambiato più anime.
Questo è il muro di chi ce l’ha fatta. Eccoci dunque al centro della sala, come immersi nella luce possente di un occhio di bue dove gli attori- ingranaggi muovono i loro passi a ritmo.
L’ombra degli animali disegna i contorni, insieme alla grande L che è anche l’insegna, il logo, l’anima dell’azienda senz’anima, la Animae.
<<Dunque, abbiamo buone notizie?>>
Chiede N., tutta in blu e con le sue nuove scarpe rumorose ai piedi.
<<Ottime, direi.>>
La voce di S. suona così sicura di sé da non sembrare neanche una voce in presa diretta. Pare più una registrazione perfetta e ripetuta davanti allo specchio da un qualche doppiatore con baffi e sigaretta.
È il momento di lasciar andare la tensione, di sorridere perfino, di gioire un po’. Come non pensare al nonno e a quel giorno in cui scelse e prese la giusta decisione per lui?
<<Gli artisti non hanno un senso nella camicia.>>
Direbbe ora il nonno, tutto felice di vedere come S., di verso, ne ha uno ben preciso. Una piega, si direbbe, che la sua vita ha preso e che difficilmente potrà perdere, stirata per bene.
<<Ti va di andare al ristorante? Se aspetto che mi racconti tutto a voce, son sicura mi perderò metà dei particolari.>>
Come lo conosce bene, quasi quanto me! Si, un venditore non è tipo da perdere tempo in giri di parole. Non deve vendere nulla, perciò perché perdersi in discorsi inutili?
Però una spiegazione la deve a questa ragazza, anche solo per essersi messa il vestito che a lui ha fatto girare la testa al primo appuntamento.
<<Certo, certo. Ho qui…>>
E con un cenno distratto indica la macchina parcheggiata in seconda fila da un quarto d’ora. Un ragazzo ha i calli a furia di suonare il clacson, urlando in cerca di attenzione.
È chiuso nel suo parcheggio da una macchina grigia a noleggio. S. non si scompone, pur sapendo che la macchina è la sua e il ragazzo non è un suonatore professionista di tromba d’auto. Certo, S. è il tipo d’uomo che non deve mai chiedere scusa, semmai mangiare, masticare, sputare e masticare ancora senza scomporsi.
Presto sarà Capo e questo personaggio qui lo riconoscerà dal passo. Ancora più sicuro, quasi etereo.
Finalmente nell’abitacolo e una musica originale, mono nota, mette tanta allegria e cancella per un attimo il rumore della metropoli. Le città hanno sempre questi rumori da dinosauri arrabbiati, come trapani, macchine e motocicli.
Il tutto, poi, si fonde con i rumori indotti dagli altoparlanti. Rumori della natura, della giungla, creati ad hoc per ricordare a tutti il mondo dimenticato degli animali. Si, perché seppure fuori dalla città ci sia un pianeta di buste di plastica sugli alberi e gomme bruciate, perfino la metropoli un tempo aveva un legame più profondo con la natura.
Ad esempio, il letto di un fiume si estendeva da un angolo all’altro della metropoli dividendosi poi in qualche piccolo affluente. Un bel giorno qualcuno scoprì che un fiume, di per sé, è inutile in una città. Prende tanto di quello spazio!
La macchina ora scorre tranquilla proprio tra le strade, segnate un tempo dalle piccole onde del fiume.
<<Andiamo al solito posto?>>
<<Si, adoro quel silenzio. È così romantico.>>
Un fiume non è semplice da imprigionare. I più zelanti tra i cittadini hanno trovato così una soluzione innovativa, l’hanno nascosto. Sotto la strada, delle grate lasciano che il fiume scorra, come un’enorme fogna.
Niente più zampilli, ondine e animali acquatici. Chissà cosa si nasconde là sotto, in quelle acque scure. Mentre qui ora c’è un fiume ininterrotto di luci, trombe di macchine ventiquattr’ore al giorno tutto l’anno.
Si, il fiume di macchine è forse la migliore invenzione di sempre, se si contano tutte le strade e stradine, i ponti e le deviazioni che si dovevano fare un tempo.
Ora è tutto dritto, naturale come lo scorrere del fiume sul suo letto. Quello che non scorre mai è proprio il traffico, semmai.
<<Non sto nella pelle, hai qualche anticipazione?>>
<<Se ti dicessi che sarò sul muro?>>
Nella macchina la curiosità aumenta da parte di questa bella figura in blu. Fuori dai finestrini, una notte che vede i turisti affannarsi, sporgersi pur di fotografare questo spettacolo unico.
Un enorme viavai di macchine, il fiume illuminato che si immerge tra grattacieli e palazzi grandi quanto montagne. Acqua- aria- fuoco, tutto si fonde insieme mentre l’idea stessa di essere parte della natura è evaporata con l’ultima goccia visibile del fiume.
Ma chi se ne importa! L’importante è scorrere, andare avanti, sempre avanti! Se poi tutto si trasformerà ancora, così sarà anche per questo fiume di macchine, che forse tornerà ad essere un semplice scorrere liquido delle nuvole sulla terra.
Per ora il fiume tossicchia là sotto, inudibile, coperto dalle urla di scimpanzé degli altoparlanti che lottano contro il rumore ben più cittadino di grossi trapani buca- mondo.
<<Sul muro? Intendi con la tua foto?>>
<<Foto e nome.>>
Trovare parcheggio però è sempre un’impresa, più che altro perché non ci sono poi tante uscite dal fiume- macchina e tutti vogliono trovare un posto qui, proprio qui, senza dover camminare.
Non ci sono stradine, le macchine piccole e grandi devono poter passare. Non è più una città a misura di macchina. Per quanto, alla fine, si potrebbe risolvere il tutto mettendo tutti gli umani a dormire sotto terra come il fiume, così da lasciare tanto spazio in più alle macchine per poter fare traffico attorno.
<<Sai che c’è? Oggi pago il parcheggio!>>
<<Mi piace quando fai così, quando fai lo spensierato.>>
<<Ma si, ogni tanto ci vuole, non si può sempre parcheggiare in seconda fila.>>
Eccoci dunque spinti dentro un’altra fila, per parcheggiare l’auto. Dentro il parcheggio l’eco dei rumori della natura che proviene dagli altoparlanti è stordente.
Certo, questi rumori sono previsti per legge, ci mancherebbe altro, però talvolta portano alla reazione opposta. Vien da pensare che se la natura è così rumorosa, tanto vale rimanere rintanati nella città.
<<Che rumoraccio questa natura! Mi ricordo che, qualche anno fa, avevano installato un altoparlante con il barrito di un elefante proprio vicino alla mia finestra. Mi faceva impazzire quel rumore, l’avrei preso a fucilate quel megafono!>>
<<Posso davvero immaginare. E poi che cosa hai fatto? Hai chiamato i vigili?>>
<<L’ho preso a fucilate. Oh, eccoci arrivati.>>
Stasera il ristorante è pieno, ma poco importa. Il tavolo è differente, deluxe come indica l’inserviente sordomuto portando questa bella coppia ai loro posti. Un tavolo nero, con poltroncine gommose e rifiniture di un color arancia che non può non far venire in mente uno di quei dolci belgi al cioccolato.
Il menu non viene neanche toccato, oggi è chiaramente una serata da tastiera libera. Non per risparmiare, sia chiaro. Sembra però che nel BOLLA non ci sia nulla che…
<<…possa lontanamente aiutarmi a raccontare la serietà con la quale mi ha parlato il Capo.>>
Scrive in fretta S., senza neppure guardare negli occhi N. E continua così.
<<Avresti dovuto vederlo, con la sua faccia quadrata e quegli occhi freddi fissi nei miei. Ho pensato volesse dirmi che non c’erano speranze. Ho sentito tutto il peso della mia vita sulle spalle.>>
<<Oh, quanto sei ispirato, stasera! (cuoricino)>>
N. scrive sulla tastiera senza fretta, guardando S. con aria adorante. S. continua a scrivere senza alzare lo sguardo.
<<Poi, quando ha visto che abbassavo lo sguardo e mi perdevo un po’, si è alzato e ha portato il suo miglior liquore di anime. Abbiamo iniziato a parlare e… ma vogliamo ordinare uno champagne?>>
<<Uno… champagne in un ristorante?>>
<<Certo, nella zona privé possiamo ordinare perfino bevande. Sai, mio padre dice che un tempo era una cosa normale. C’è champagne o acqua nera con zucchero e bollicine.>>
<<Si, mio padre diceva lo stesso. Beh, altri tempi, rumorosi. Io andrei sulle bollicine nere.>>
<<Ottimo, io vado sullo champagne.>>
Un piccolo tocco sull’icona del cameriere e quasi istantaneamente compare una figura alla destra di S. Un uomo silenzioso, dall’aria annoiata, dal naso buffo tutto curvato all’ingiù fino a toccare le labbra.
I calzini bianchi con le scarpe nere sono un vero pugno in un occhio! Poggia però con maestria i bicchieri sul tavolo, senza produrre alcun suono. Il sottobicchiere anti- rumore è nero con bordini arancioni, proprio come tutto il resto. Deluxe, del resto.
Prima l’acqua nera con bollicine, poi lo champagne. Subito dopo, la figura con i calzini bianchi e il naso all’ingiù sparisce come inghiottito dai muri.
<<Cin, Cin!>>
Scrive tutto contento S., guardando stavolta N. dritta negli occhi.
<<Congratulazioni! (Omino che saltella allegro)>>
Scrive lei, lasciandosi andare perfino ad un sorriso dai denti scoperti. Seguono minuti interi senza una parola, scritta o pronunciata. Solo silenzio e sguardi. Si, qui c’è davvero un silenzio da far fischiare le orecchie perfino ad un paio di scarpe.
<<Quando sarà il tuo ultimo giorno da venditore?>>
La voce di lei arriva sintetizzata nelle piccole cuffie messe in dotazione dal ristorante. S. ha scelto la voce di C.C., la famosa attrice. Ciò rende l’esperienza ancora più eccitante.
<<Domani.>>
Risponde in fretta, tutto contento.
<<E poi?>>
<<E poi dovrò salutare la mia classe all’università. Credo mi mancheranno, gli studenti.>>
<<E poi?>>
<<Beh, poi scriveranno il mio nome sul muro. Significa che passerò qualche giorno da Capo, prima di ricevere l’investitura da… Governatore.>>
N. ascolta estasiata queste novità, sintetizzate dalla voce dell’attore V.G., per rendere il tutto ancora più teatrale. Sembra tutto così irreale, ma sta accadendo davvero. Presto S. potrà davvero essere un Governatore.
<<Dai, ora andiamo a riposare, domani sarà una giornata lunga e impegnativa.>>
Dice S. alzandosi. I due vanno al parcheggio e tornano a casa cullati dal gracchiare di corvi dai megafoni naturali. Una vita intera pronta a cambiare d’un colpo.
Se sei curioso di sapere come continua la storia e di leggere il secondo capitolo, continua a leggere!
Se hai visto il muro, ma non hai incontrato il Capo, leggi pure qui.
Se sei finito per caso su questa pagina, ma non sai di che cosa si tratti, puoi leggerlo qui.
Questa storia è stata pubblicata una volta a settimana da ottobre 2018 ad ottobre 2019 ed è stata pubblicata nel libro omonimo, Anime vive. Tutti i diritti sulla storia e relative traduzioni sono riservati da Flyingstories e nella persona di Daniele Frau.