Il ristorante
Un ristorante del silenzio
Dopo il cinema, la scelta più sensata è il caro vecchio appuntamento al ristorante. Ciò che spinge ogni giorno una porzione consistente di umanità metropolitana dietro i tavoli di un ristorante non è però certo il cibo. Fuori dalle luci cittadine e dalle strade trafficate, può essere un’opzione. Quando non si cucina, si scende ancora sotto casa per mangiare alla mensa di un ristoratore che mostra orgoglioso il ventre prominente.
La metropoli ha barattato però quel ventre prominente con un piccolo bottone,piazzato in bella vista accanto alla cornetta del citofono di casa.
<<Salve, vorrei ordinare una porzione di pesce crudo per due e un trancio di pasta piatta con sugo e filamenti bianchi al formaggio.>>
Si dice parlando al microfono.
E la voce meccanica risponderà qualcosa come:
<<Certo, desidera posate o bacchette?>>
<<Bacchette, grazie. Arrivederci.>>
<<Arrivederci.>>
Tutto molto semplice, con l’attesa orgasmica del cibo dietro la porta di casa. No, qui al ristorante non c’è nulla di orgasmico, solo silenzio. Il ristorante è un luogo di pace, in cui questa prende il sinonimo di insonorizzazione. Un tempo famosi per i cuochi e per la scelta del menu, i ristoranti della città sono ora conosciuti e scelti per il modo che hanno di insonorizzare gli ambienti.
Eccoci al tavolo, finalmente. Un cubo di un metro dai bordi color vinaccia. Le sedie, incassate nel cubo, sfilano via senza produrre alcun rumore. S., galante, sfila la sedia per N. e la sua ombra blu colora un po’ il tavolo, altrimenti di un bianco asettico. Il materiale viene da qualche metropoli lontana famosa per il silenzio e le alghe.
<<Prego.>>
Mima S. indicando alla ragazza di fronte a lui il piccolo bottone di accensione.
I due sorridono in silenzio. Senza imbarazzo, qui il silenzio è la pietanza principale. Due cartoncini tondi bianchi e rossi sembrano confondersi sulla superficie liscia del cubo- tavolo. Nell’aprirli, ecco spuntare fuori il menu, una lista che afferma nel silenzio del suo inchiostro gridato su carta le opzioni disponibili:
“PENNA”
“TASTIERA”
“BOLLA”
Se la prima è una scelta tipicamente per personalità nostalgiche, di quelle che ancora spendono soldi veri in carta e vestiti usati, la seconda risulta essere la scelta più comune.
Il metodo BOLLA è più costoso ed è dunque una preferenza più sofisticata, un’opzione più che adeguata per questo secondo appuntamento. Si sa come sono gli uomini, sempre pronti ad alzare le piume come pavoni in primavera. Il nome stesso, BOLLA, fa pensare a qualcuno che voglia gonfiarsi un po’. Niente di più lontano dal reale significato.
BOLLA è un semplice nome di persona. Perfino per i suoi tempi aveva un nome lungo (ma sapete, i titolati non amano avere un solo nome da plebeo). Il Barone notò qualcosa di singolare, nel suo infinito tempo libero, ossia che nei ristoranti le persone non consumavano più cibo, ma conversavano. Non tra loro, ci mancherebbe, ma interagivano, scrivevano messaggi a persone sconosciute e lontane, pubblicavano fotografie del cibo che si raffreddava inesorabilmente di fronte a loro. L’occasione era propizia, i tempi erano maturi per creare un nuovo sistema.
L’intuizione fulminea che ebbe BOLLA divenne poi il principio stesso del ristorante nelle metropoli. Un porto in cui piccole barchette silenziose non hanno bisogno del mare per navigare, ma solo per galleggiare. Fuor di metafora, con un piccolo rettangolo pieni di lucine e pulsanti è possibile interagire con la persona che si ha di fronte e con chiunque altro si desideri. Senza finzioni, senza ipocrite mani nascoste nella borsetta. Nessuna conversazione, per quanto vicina o lontana essa sia, li vede presenti. Sono in grado di interpretare il pubblico alla meraviglia. Il metodo BOLLA permette di lasciare che sia un programma a fare tutto lo sforzo comunicativo, a trovare le risposte giuste. In questo modo si risparmiano preziose energie mentali.
<<Come stai oggi?>>
Chiede S. per primo, come se non l’avesse già chiesto prima di entrare.
<<Hai un vestito davvero originale.>>
Risponde N. Il sistema ci mette qualche minuto prima di calibrarsi. Infatti poi si riprende con un:
<<È davvero un posto carino, non c’ero mai stata.>>
S. sorride, felice della sua scelta, fingendo di credere che quelle parole siano reali, scelte originali. A domanda banale, corrisponde risposta uguale o contraria, il programma funziona così. Nella maggior parte dei casi, mediocrità segue mediocrità. La conversazione pende verso il basso, camminando sull’orlo di un tavolo sospinta dal soffio di un rettangolo nascosto. Conversazioni sul clima si mischiano ad altre sulle tasse. Poi, il gelo del maestrale, il vento che fa scivolare la biglia della conversazione fuori da questo tavolo tanto metaforico quanto incerto.
<<Come hai iniziato a vendere anime? Fu tuo padre ad insistere?>>
Un disco che si ferma di colpo, un cavallo che inciampa e cade e con lui il fantino. Si, dal movimento di questa gamba sopra di me intuisco che questa domanda non fosse scritta nel BOLLA. In ogni momento il programma è personalizzabile e non ci sono risposte preimpostate a domande originali. Ciò significa che dovrà pensare, rispondere per davvero, interrompere il flusso di messaggi senza senso che invia a persone sconosciute. Essere là, ragionare su una risposta con, di fronte, una persona reale.
Il piede della ragazza si muove leggero, sembra aver intuito prima della padrona di aver fatto una scelta rischiosa.
La domanda, scritta sul piccolo rettangolo di luce davanti agli occhi imbarazzati di S., cade nel silenzio di un ristorante ora piuttosto affollato. Come un una massa di ghiaccio galleggiante, questo tavolo divide le emozioni sorridenti dai piedi impacciati. Sensazioni nascoste, di due sconosciuti che sembrano vedersi ora per la prima volta. La gamba si blocca d’improvviso. Le dita scivolano sul riquadro mai usato prima:
“Risposte personalizzate”
Scrivono:
<<Era il mio sogno più grande. Mio padre mi ha aiutato, si, ma più di tutti mio nonno. È sua l’anima con cui sono nato.>>
Anche il piede ora si tranquillizza, l’iceberg si scioglie rendendo la conversazione più fluida, liquida.
<<Beh, direi che il tuo sogno è davvero riuscito benissimo. Il Capo non fa che parlare di te in ufficio.>>
La gamba riprende il suo su e giù. Ora, so che probabilmente voi non siete mai stati delle scarpe. O magari lo siete stati, ma non ve lo ricordate più. Comunque sia, se noi anime come detto possiamo amare, possiamo anche provare il mal di mare. Ed è ciò che provo ora, anche se so che non avrò nulla da rimettere. Al massimo, mi si slegheranno i lacci.
<<Grazie, la Animae è famiglia per me. In tutti i sensi. Quando si diventa venditori il sogno è sempre e solo uno.>>
<<E quale sarebbe?>>
Chiede ora incuriosita la donna dall’altra parte del cubo, sollevando lo sguardo dalla tastiera.
<<Davvero non lo sai?>>
Il naso dai riflessi blu si sposta da destra a sinistra. Un segnale che significa un no, se non vi son chiare le pratiche di questo lato del mondo. In altre latitudini sarebbe un si o un forse, chissà. In questo caso entrambe le soluzioni ben si sposerebbero, anche se l’aria incuriosita non lascia spazio ad interpretazioni.
<<Bene.>>
Scrive S. nel riquadro. Poi continua.
<<Tutto ciò che devi sapere è che c’è solo un desiderio nella mente di un venditore: riavere indietro la sua anima.>>
N., la ragazza dal piede tremante, si sporge oltre lo schermo e guarda da vicino il brillante venditore seduto all’altro capo. È curiosa di natura, lo è sempre stata. Sa che troppe domande sono un rischio. C’è sempre la possibilità di tornare nel BOLLA e andare su argomenti preimpostati sul lato destro dello schermo:
“TEMPO”
– Fa fresco oggi.
“STAGIONI”
– Il clima sta impazzendo.
“MALATTIE”
– Non mi sento tanto bene.
“SPORT”
– Segui qualche sport?
“LAVORO”
– Come va in ufficio?
“SESSO”
– Hai mai tradito?
“CIBO”
– Ti piace il sushi?
“PASSATEMPI”
– Cosa fai nel tempo libero?
“ARTE”
– Il teatro è bello.
Poi, decide che non è venuta in quel ristorante per saperne meno di prima su quell’uomo. Così continua a scrivere nel riquadro.
<<E quando credi succederà?>>
S. non deve attendere a lungo per rispondere, è sicuro.
<<Presto, molto presto. Mio padre andrà in pensione tra pochi anni. Ma prima dovrò diventare Capo.>>
<<E la tua anima? Sai dove si trova?>>
Chiede N. sfidando per l’ultima volta la pazienza del BOLLA. <<Oh, è come se fosse in cassaforte. L’ha mio padre. L’ha sempre avuta lui.>>
Se sei curioso di sapere come continua la storia e di incontrare un capo, continua a leggere!
Se hai seguito questo secondo incontro al ristorante, ma non sei entrato mai in un cinema, leggi pure qui.
Se sei finito per caso su questa pagina, ma non sai di che cosa si tratti, puoi leggerlo qui.
Questa storia è stata pubblicata una volta a settimana da ottobre 2018 ad ottobre 2019 ed è stata pubblicata nel libro omonimo, Anime vive. Tutti i diritti sulla storia e relative traduzioni sono riservati da Flyingstories e nella persona di Daniele Frau.
Fichissima! Bravo!
Grazie come sempre!