Il ritratto
Il primo quadro che vendette.
Un ritratto?
No, non vendette nulla, lui. Vendere era il mestiere di sua moglie.
Un ritratto, un insieme banale di banalità, che aveva odiato fin dal primo minuto. Lo aveva concluso controvoglia, con il naso che gli sanguinava per le continue epistassi. dimenticandosi di mangiare, usando i colori del suo corpo. Nutriva le sue fantasie con i colori della realtà, lasciando marcire il suo corpo scheletrico.
La moglie lo aveva avvisato, non poteva continuare così. Una sera era tornato a casa, aveva preso il pennello e aveva fatto quel ritratto. “Ritratto di donna morta”, lo avevano denominato. Si, qualcuno lo aveva chiamato così, perché dare un nome ad un quadro era per lui il corrispettivo di dare un cognome ad un bambino.
Che ne sa se quel cognome fa per lui, se quella famiglia lo assottiglierà, lo piegherà sotto la sua scarpa borghese, lo vedrà rammollire, quando sarebbe potuto essere un ottimo medico, signora.
Purtroppo, alcune mele, sa come funziona, cadono lontano. Lontanissimo, non aveva mai fatto un ritratto così da lontano. La donna stava riversa a terra, la testa un grumo di sangue, le labbra rosse circondate da piccole bolle immobili, gli occhi aperti in un grido disperato di terrore. Come una statua di Pompei, era morta, ma sembrava ancora là, vittima di un un’eruzione di follia.
Aveva ritratto tutto lasciando che il suo stesso sangue colorasse il pennello, rendendo quell’amore per la morte un amore carnale.
Solo dopo averlo completato, chiamò la polizia.
Il quadro stava sul cavalletto.
Il quadro era finito, sul cavalletto. Sarebbe divenuto il quadro del secolo, lo avrebbe reso celebre per sempre. Lo avrebbe inseguito come un sogno, un incubo di scintille che non si accendono, in attesa del prossimo quadro, del capolavoro.
Capolavori che non lo avevano mai reso felice. Disperato, l’ispirazione che gli sfuggiva via dalle mani ormai grassocce, nelle periferie, nei bordelli, perfino negli obitori, con una piccola mancia su mani sudate.
“Mancia su mani sudate” era stato l’ultimo successo, che nessuno aveva capito davvero, ma che era stato applaudito da delle mani inguantate con sorrisi obliqui.
Lo trovarono impiccato, davanti ad uno specchio, i denti bianchi scoperti in un ghigno.
Dietro di sé, il suo ultimo capolavoro: “Fino all’ultimo respiro”.
Questa storia appartiene a Flyingstories e nella persona di Daniele Frau. Nel caso in cui voleste utilizzare parte della storia o citarla anche in parte, vi preghiamo di contattare l'autore.
Storie brevi
Ti è piaciuta la storia? Leggine altre, qui.